Per secoli, la fisica classica — da Galileo a Newton — ha rappresentato un sistema coerente e rassicurante. L’universo appariva come un grande orologio: ogni effetto aveva una causa, ogni evento poteva essere previsto se si conoscevano le leggi che lo governavano. Questa visione deterministica aveva nutrito l’idea di una realtà oggettiva, stabile e conoscibile nella sua totalità.
Ma nel Novecento questa certezza si è incrinata. La teoria della relatività di Einstein e la meccanica quantistica hanno introdotto un radicale cambio di prospettiva. La realtà non è più quella solida costruzione che la fisica classica ci aveva consegnato: è fluida, sfuggente, intrecciata con il nostro modo di osservarla.
Einstein, con la relatività ristretta (1905) e generale (1915), ha mostrato che spazio e tempo non sono assoluti, ma dipendono dal punto di vista dell’osservatore. Il concetto stesso di simultaneità perde significato: ciò che per un osservatore avviene “ora”, per un altro, in movimento, può avvenire “prima” o “dopo”. Anche la massa e l’energia si rivelano due aspetti di una stessa realtà, secondo la celebre equazione E = mc². Il mondo non è più rigido: è un intreccio dinamico di relazioni.
Ancora più destabilizzante è stata la scoperta, negli anni Venti, del principio di indeterminazione di Heisenberg. Esso afferma che non è possibile conoscere con precisione assoluta, nello stesso momento, la posizione e la velocità di una particella. Non per limiti tecnologici, ma per una legge intrinseca della natura. In altre parole, la realtà subatomica non è fatta di oggetti dotati di proprietà definite, ma di probabilità, di onde di possibilità. L’atto dell’osservare influisce sul fenomeno osservato. Il soggetto e l’oggetto non sono più separabili.
Questa nuova visione ha generato non solo un mutamento scientifico, ma anche una rivoluzione culturale e filosofica. Fritjof Capra, nel suo celebre saggio Il Tao della fisica (1975), ha messo in relazione la fisica quantistica con le antiche filosofie orientali, come il Taoismo e il Buddhismo, che da millenni concepivano il mondo come una rete di relazioni dinamiche piuttosto che come un insieme di entità isolate. L’idea che la realtà sia interconnessa e in continua trasformazione, e che l’osservatore ne faccia parte, sembra avvicinare la scienza moderna a visioni spirituali che l’Occidente aveva a lungo ignorato.
Oggi, fisici come Carlo Rovelli, con libri come L’ordine del tempo e Helgoland, continuano a esplorare le implicazioni di questo cambiamento di paradigma. Rovelli propone una fisica relazionale, in cui le cose non esistono “in sé”, ma solo in relazione ad altre. La realtà non è una somma di oggetti, ma una trama di interazioni. Anche il tempo, nella prospettiva della fisica contemporanea, non è un flusso universale ma un fenomeno emergente, legato al modo in cui noi, esseri finiti, percepiamo il cambiamento.
Questa nuova concezione apre enormi opportunità: ci invita a pensare in modo più flessibile, a considerare l’interconnessione tra i fenomeni, a superare l’illusione del controllo totale. Può favorire un atteggiamento più umile e responsabile nei confronti del mondo, fondato sulla consapevolezza dei limiti della conoscenza.
Ma comporta anche problemi e smarrimenti. Se tutto è relativo o probabilistico, che ne è della verità? Come distinguere ciò che è reale da ciò che è solo un effetto dell’osservazione? Il rischio è che la fisica, da strumento di certezza, diventi metafora dell’incertezza radicale dell’uomo contemporaneo.
Eppure, proprio in questa consapevolezza dei limiti si cela una forma più matura di conoscenza: una scienza che non pretende più di dominare la realtà, ma di dialogare con essa. La fisica contemporanea ci ha tolto le certezze, ma ci ha restituito il mistero.
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