Negli ultimi decenni, e in particolare durante l’emergenza sanitaria globale del COVID-19, il sistema scolastico ha vissuto una scossa profonda. La Didattica a Distanza (DAD), imposta dall’urgenza, ha rappresentato per molti una liberazione e per altri un disagio, ma in entrambi i casi ha mostrato una verità scomoda: la scuola così com’è, nel suo impianto novecentesco, è inadatta a formare le menti di oggi e, soprattutto, quelle di domani.
Terminata la pandemia, tuttavia, è avvenuto un rapido ritorno alla "normalità", come se tutto ciò che era emerso non avesse alcun valore da salvare. Le aule sono tornate a essere spazi chiusi, le cattedre rialzate, le interrogazioni punitive, le lezioni frontali. Nessuna ibridazione seria tra presenza e digitale, nessuna riflessione sistemica, nessuna volontà di cambiare davvero. Come se la scuola non fosse al servizio degli studenti, ma della propria autoriproduzione.
Eppure, la rivoluzione digitale continua a correre, ignorando i muri degli edifici scolastici. L’accesso al sapere si è smaterializzato: oggi un ragazzo curioso può apprendere in autonomia, attraverso corsi online, podcast, video, tutorial e community internazionali. La figura del docente come unica fonte di verità è crollata. Oggi il docente dovrebbe essere una guida, un facilitatore, un mentore: qualcuno che aiuta a selezionare, comprendere e interpretare, più che a “trasmettere” contenuti.
In questo contesto, l’arrivo dell’intelligenza artificiale segna un’ulteriore svolta. Gli strumenti basati su IA, come i modelli linguistici, i tutor virtuali o i sistemi adattivi di apprendimento, permettono percorsi altamente personalizzati. L’IA può correggere compiti, suggerire approfondimenti, adattare la difficoltà degli esercizi al livello di ciascun alunno. Può anche aiutare gli insegnanti a progettare lezioni più coinvolgenti, liberandoli da mansioni ripetitive. L’educazione diventa così un processo dinamico, interattivo e su misura, non più uniforme e coercitivo.
Certo, non tutto è rose e fiori. L’intelligenza artificiale, come ogni tecnologia potente, può essere usata male: può alimentare il plagio, ridurre lo sforzo cognitivo, omologare le risposte. Ma questi rischi non sono argomenti per rifiutarla: sono sfide da affrontare con spirito critico. Il compito dell’educazione è, oggi più che mai, formare la coscienza, non solo istruire. Serve una nuova alfabetizzazione: non solo digitale, ma etica, creativa, riflessiva.
Il paradosso è che mentre il mondo cambia, la scuola resta uguale a se stessa, come un tempio vuoto che ripete riti ormai privi di senso. In nome della tradizione si perpetua un sistema che premia la conformità e penalizza la curiosità. Ma l’istruzione, se vuole restare viva, deve smettere di essere un rituale e tornare ad essere una scoperta.
È tempo di riconoscere che il vero scopo della scuola non è quello di formare “bravi cittadini” adattati a un mondo in crisi, ma quello di accompagnare individui pensanti verso la costruzione del proprio sé e del proprio progetto esistenziale. Per farlo, serve il coraggio di sperimentare, ibridare, innovare. E anche l’umiltà di accettare che i vecchi modelli, forse, hanno fatto il loro tempo.
Solo così la scuola potrà tornare a essere ciò che dovrebbe: un luogo di libertà, non di addestramento; un laboratorio del futuro, non un museo del passato.