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venerdì 30 maggio 2025

La noia e il vuoto interiore: ostacoli da fuggire o occasioni da vivere?


Viviamo in un tempo in cui il silenzio è diventato sospetto e la noia un nemico da sconfiggere. Ogni momento della giornata è riempito freneticamente: attività sportive, uscite con gli amici, scroll ossessivi sui social, musica costante nelle cuffie, messaggi e chiamate continue. Non appena si affaccia un attimo di vuoto, corriamo a riempirlo. Ma perché abbiamo così paura di restare soli con noi stessi?

Come scrisse provocatoriamente lo psicologo Paul Watzlawick, “guardarsi dentro rende ciechi”. Molti contemporanei sembrano aver preso alla lettera questa affermazione, evitando qualsiasi occasione di introspezione. Preferiscono "surfare" sulla superficie dell’esistenza, evitando l’"immersione" nel profondo. Ma è proprio lì, nelle zone buie e silenziose del nostro essere, che si gioca la possibilità di una vita autentica.

Alberto Moravia, nel romanzo La noia, descrive un protagonista borghese, afflitto da un senso costante di vuoto e insoddisfazione. È una noia che non deriva dall’assenza di stimoli, ma dalla mancanza di significato. Questo sentimento, se accolto e compreso, può spingerci a interrogarci su ciò che conta davvero. Anche Albert Camus, ne Il mito di Sisifo, riflette sul “vuoto dell’esistenza” e sulla sensazione assurda di vivere senza uno scopo preciso. Tuttavia, proprio da questa consapevolezza nasce la possibilità di scegliere, di dare senso alla vita con un atto di libertà. È un invito, non alla disperazione, ma alla responsabilità.

La noia, allora, può diventare una risorsa. Come sosteneva il filosofo Vladimir Jankélévitch, è nell’attesa e nel silenzio che può germogliare la creatività. Anche Sartre, in La nausea, racconta un’esperienza di vuoto esistenziale che inizialmente atterra, ma poi costringe a guardare in faccia la realtà dell’essere e la libertà dell’uomo. Il disagio di stare soli con sé stessi è, paradossalmente, l’inizio di una presa di coscienza. La noia ci obbliga a confrontarci con i nostri limiti, le nostre fragilità, i nostri desideri profondi. E da lì può nascere l’arte, il pensiero, la trasformazione.

Naturalmente, non si tratta di demonizzare la leggerezza. Un po’ di superficialità, di tanto in tanto, è necessaria per recuperare energie e restare a galla in un mondo che spesso ci sovraccarica. Tuttavia, se ci si rifugia costantemente nelle distrazioni, si rischia di perdere l’incontro più importante della vita: quello con sé stessi. Vivere soltanto in superficie significa vivere secondo modelli imposti, vite omologate e prive di autenticità.

Dovremmo allora imparare a “perdere tempo” in modo diverso: camminare senza meta, osservare in silenzio, scrivere, leggere, meditare. Lasciare spazio alla noia, accoglierla come un vuoto fertile, non come un difetto da colmare a tutti i costi. Solo così possiamo imparare a stare davvero con noi stessi, ad ascoltarci, a crescere.

In un mondo che corre, forse la vera rivoluzione è fermarsi.