mercoledì 13 agosto 2025

I “lavoretti” nell’economia di oggi – tra necessità e precarietà

 Introduzione

Negli ultimi anni, il mondo del lavoro è cambiato profondamente. Sempre più persone, soprattutto giovani, si trovano a svolgere lavori temporanei, part-time, senza garanzie né prospettive di crescita. Il giornalista Riccardo Staglianò ha dedicato un libro a questo fenomeno, chiamandoli “lavoretti”. Ma cosa significa vivere di lavoretti? E quali sono le conseguenze per la società?

Sviluppo

I lavoretti sono attività spesso brevi, mal pagate e prive di diritti come ferie, malattia o pensione. Possono essere consegne a domicilio, assistenza clienti, lavori digitali, ripetizioni, babysitting, oppure piccoli impieghi nel commercio e nella ristorazione. Molti li fanno per “arrotondare”, cioè per aggiungere qualcosa allo stipendio principale, oppure perché non riescono a trovare un lavoro stabile.

Questa situazione riguarda soprattutto i giovani, che dopo anni di studio si ritrovano a fare lavori che non valorizzano le loro competenze. Anche gli adulti, però, sono coinvolti, spesso costretti a cambiare lavoro più volte o a lavorare in condizioni difficili. Le aziende, dal canto loro, preferiscono contratti flessibili per risparmiare, ma così facendo aumentano l’insicurezza dei lavoratori.

Il problema non è solo economico, ma anche sociale. Chi vive di lavoretti spesso non riesce a progettare il futuro: comprare casa, avere figli, costruire una vita stabile diventa complicato. Inoltre, la mancanza di tutele può portare a sfruttamento, stress e senso di ingiustizia.

Conclusione

I lavoretti sono diventati una parte importante dell’economia, ma non possono essere l’unica risposta al bisogno di lavoro. È necessario trovare un equilibrio tra flessibilità e diritti, tra libertà e sicurezza. La scuola, la politica e la società devono aiutare i giovani a costruire un futuro dignitoso, dove il lavoro non sia solo un modo per sopravvivere, ma anche per realizzarsi.

Il superuomo di massa tra romanzo popolare e società contemporanea

Nel suo saggio Il superuomo di massa, Umberto Eco analizza la figura dell’eroe nei romanzi popolari dell’Ottocento e del Novecento, come il Conte di Montecristo o il Corsaro Nero. Questi personaggi, pur non avendo nulla a che fare con il pensiero filosofico di Nietzsche, incarnano una forma di “superuomo” che agisce al di sopra delle regole comuni, vendica i torti subiti e ristabilisce l’ordine, spesso con metodi autoritari. Eco mostra come questi eroi siano costruiti per rassicurare il lettore, confermando le sue aspettative e offrendo una visione semplificata della giustizia.


Questa figura del “superuomo di massa” non è scomparsa: oggi la ritroviamo in molti modelli proposti dai media e dalla società. L’imprenditore di successo, il calciatore idolatrato, il palestrato tutto muscoli e poco cervello, il cosiddetto “maschio alfa” sono tutti esempi di personaggi che si impongono come vincenti, dominanti, spesso arroganti. Vengono ammirati non tanto per la loro profondità morale o intellettuale, ma per la loro capacità di primeggiare, di imporsi sugli altri e di apparire invincibili.


Questi “eroi” moderni sono molto diversi dall’Übermensch di Nietzsche. Il filosofo tedesco immaginava un uomo capace di superare la morale tradizionale, di creare nuovi valori e di vivere in modo autentico, libero da condizionamenti esterni. L’Übermensch non cerca il successo mondano, né il riconoscimento sociale, ma aspira a una forma superiore di esistenza, fondata sulla volontà di potenza intesa come forza creativa e spirituale.


Al contrario, il superuomo di massa è spesso un prodotto della cultura consumistica e dell’apparenza. Non crea valori, ma li ripete; non cerca la verità, ma il consenso. È un modello che rassicura, perché mostra che si può “vincere” senza cambiare davvero, senza mettere in discussione il sistema.


In conclusione, la figura del superuomo di massa continua a esercitare un forte fascino, ma è importante riconoscerne i limiti. Umberto Eco ci invita a guardare oltre la superficie, a capire che dietro questi miti si nascondono ideologie e illusioni. Solo così possiamo distinguere tra chi appare forte e chi lo è davvero, tra chi domina e chi invece cerca di migliorare se stesso e il mondo.

Giovani e palestra: tra benessere fisico e rischi nascosti

Negli ultimi anni, sempre più giovani frequentano assiduamente le palestre. Ragazzi e ragazze si dedicano con costanza all’allenamento, scolpiscono il proprio corpo e curano l’alimentazione. Questo fenomeno, in apparenza positivo, merita però una riflessione più profonda: quali sono i benefici reali? E quali i rischi, spesso invisibili?


I benefici della palestra


La cura del corpo ha indubbi vantaggi:

- Salute fisica: l’attività sportiva migliora la circolazione, rafforza i muscoli, previene malattie e aiuta a mantenere un peso equilibrato.

- Autostima: sentirsi in forma e piacersi allo specchio può aumentare la fiducia in sé stessi e migliorare i rapporti sociali.

- Disciplina e costanza: allenarsi regolarmente richiede impegno e organizzazione, qualità utili anche nello studio e nel lavoro.


Inoltre, il culto del corpo ha radici antiche: già nella Grecia classica si valorizzava l’armonia tra corpo e mente. Platone stesso parlava della bellezza come espressione dell’ordine interiore.


⚠️ I rischi di un culto eccessivo del corpo


Tuttavia, quando la cura del corpo diventa ossessione, possono emergere aspetti problematici:

- Narcisismo e individualismo: alcuni giovani si concentrano solo sull’apparenza, cercando approvazione e visibilità, soprattutto sui social.

- Mascheramento della fragilità: il corpo scolpito può diventare una corazza dietro cui si nasconde la vulnerabilità, la paura di non essere abbastanza.

- Disturbi psicologici: la psichiatria ha identificato la vigoressia, una dipendenza dall’allenamento e dal desiderio di avere un corpo perfetto, spesso accompagnata da ansia e insicurezza.


In certi casi, il fisico allenato non riflette una vera forza interiore, ma una fuga dalle proprie emozioni, dai fallimenti e dalle ferite che fanno parte della vita.


🧠 Serve anche una palestra per l’anima


Per questo, accanto alla palestra del corpo, sarebbe utile promuovere una “palestra dell’anima”: spazi dove i giovani possano coltivare l’introspezione, l’educazione sentimentale e la gestione delle emozioni. La vera cura di sé non riguarda solo i muscoli, ma anche la mente e il cuore.


📝 Conclusione


Frequentare la palestra può essere una scelta sana e positiva, ma è importante non perdere di vista l’equilibrio. Il corpo è uno strumento prezioso, ma non deve diventare un’ossessione. Coltivare anche la propria interiorità è fondamentale per crescere come persone complete, capaci di affrontare la vita con forza, autenticità e consapevolezza.

Charles Baudelaire, il poeta della modernità

Introduzione

Charles Baudelaire è uno dei poeti più importanti dell’Ottocento. Con la sua raccolta I Fiori del Male, ha cambiato il modo di scrivere poesia. Non parla di paesaggi romantici o di amori ideali, ma della città, della vita quotidiana, del disagio e della bellezza nascosta nelle cose comuni. Per questo è considerato il primo poeta moderno.


🚶‍♂️ Il flâneur: il poeta che osserva la città

Baudelaire vive a Parigi, una città che sta cambiando velocemente. Lui cammina per le strade, osserva le persone, i negozi, i passanti. Questo tipo di poeta si chiama flâneur: è un osservatore attento, curioso, che trova ispirazione nella vita urbana. La città diventa il suo paesaggio poetico.


⚙️ La modernità nella poesia

Baudelaire è il primo a parlare della modernità in poesia. Scrive di temi nuovi: la noia, la solitudine, il progresso, il traffico, la folla. Non cerca solo il bello, ma anche ciò che è strano, inquietante, diverso. Per lui, anche il brutto può diventare poesia.


🧱 Contro la morale borghese

Baudelaire non accetta le regole della società borghese, che vuole tutto ordinato, pulito, morale. Lui scrive di desideri, peccati, sogni, angosce. Per questo è stato anche censurato. Ma proprio questa libertà lo rende speciale: dice quello che sente, senza paura.


👑 Il poeta maledetto

Baudelaire è il primo dei “poeti maledetti”: artisti che vivono ai margini, che soffrono, ma che creano opere profonde e sincere. La sua vita è stata difficile, ma la sua poesia è diventata un punto di riferimento per tanti autori dopo di lui.


Conclusione

Baudelaire ha aperto una nuova strada nella poesia. Ha mostrato che si può parlare della realtà, anche quando è dura o triste, e trovare comunque bellezza. Ancora oggi, leggere Baudelaire ci aiuta a vedere il mondo con occhi diversi, più attenti e più profondi.


La lontananza – tra assenza, desiderio e immaginazione

La lontananza è una parola che spesso associamo alla distanza fisica: una persona che vive in un altro paese, un luogo che non possiamo raggiungere, un tempo che non tornerà. Ma se ci fermiamo a pensare, scopriamo che la lontananza è molto di più. È un sentimento, un pensiero, una condizione che ci accompagna ogni giorno, anche quando siamo circondati da persone e cose.


Il poeta e saggista Antonio Prete ha scritto un libro intitolato Trattato della lontananza, in cui riflette su questo tema in modo profondo e originale. Secondo lui, la lontananza non è solo ciò che è lontano nello spazio, ma anche ciò che è invisibile, perduto, irraggiungibile. È ciò che ci manca, ma che proprio per questo ci fa immaginare, ricordare, desiderare.


Prete ci invita a pensare che la lontananza non deve essere cancellata dalla tecnologia. Oggi, grazie a internet, ai telefoni e ai social, possiamo vedere e ascoltare cose che accadono dall’altra parte del mondo. Ma questa vicinanza apparente rischia di farci perdere il senso del mistero, della profondità, del tempo che serve per capire davvero qualcosa o qualcuno. La lontananza, invece, ci insegna ad aspettare, a cercare, a dare valore a ciò che non è subito disponibile.


Anche la letteratura, la poesia e l’arte parlano spesso della lontananza. Pensiamo alla nostalgia di chi è in esilio, all’amore per una terra mai visitata, al cielo che ci affascina proprio perché non possiamo toccarlo. In questi casi, la lontananza diventa fonte di bellezza e di pensiero. Ci fa sentire vivi, perché ci mette in movimento: non fisicamente, ma con la mente e con il cuore.


Personalmente, credo che la lontananza sia importante. Mi capita di sentire la mancanza di persone care, o di pensare a luoghi che vorrei visitare. E anche se a volte fa male, questo sentimento mi aiuta a capire cosa conta davvero per me. Mi fa immaginare, sognare, scrivere. Mi fa crescere.


In conclusione, la lontananza non è solo una distanza da colmare, ma uno spazio da abitare con la mente e con le emozioni. È una parte fondamentale della nostra esperienza umana, e imparare a viverla può renderci più profondi, più sensibili, più consapevoli.


martedì 12 agosto 2025

L’identità e la sua costruzione

 L’identità è ciò che ci rende unici e diversi dagli altri. Non è una cosa che abbiamo già pronta dentro di noi fin dalla nascita, ma qualcosa che si costruisce giorno dopo giorno, attraverso le esperienze, le relazioni e le scelte che facciamo.


Secondo la psicologa Anna Oliverio Ferraris, l’identità è un processo dinamico e complesso. Non si tratta di un “contenitore” fisso, ma di un continuo diventare, che si evolve con il tempo. Non siamo mai completamente “finiti” o “definiti” come persone, ma cambiamo in base a ciò che viviamo e impariamo.


Durante l’adolescenza, questo processo è particolarmente importante e delicato. È in questo periodo che iniziamo a cercare risposte a domande fondamentali: “Chi sono? Che persona voglio essere? Quali valori voglio seguire?”. L’adolescenza è spesso un momento di crisi e di confusione perché l’identità è ancora “in costruzione”. Ferraris spiega che è normale mettere in discussione le proprie idee e sperimentare ruoli diversi, per capire cosa ci rappresenta davvero.


Non solo le esperienze personali sono importanti, ma anche il contesto sociale e culturale in cui viviamo. La famiglia, gli amici, la scuola e la società ci influenzano molto. Attraverso le relazioni con gli altri impariamo a conoscerci meglio e a definire chi siamo. In questo senso, l’identità non è solo qualcosa di individuale, ma anche qualcosa di “relazionale”.


Altri autori come Erik Erikson, uno psicologo famoso per il suo lavoro sullo sviluppo umano, parlano di “crisi di identità” durante l’adolescenza come momento necessario per crescere. Superare questa crisi significa riuscire a costruire una propria identità solida, che ci permette di affrontare la vita con maggiore sicurezza.


In conclusione, l’identità non è un dato fisso, ma un cammino che dura tutta la vita. Costruirla richiede tempo, impegno e coraggio. È importante accettare anche i momenti di dubbio e cambiamento, perché fanno parte del processo. Solo così possiamo diventare davvero noi stessi.


Che cos’è il Sé?

 Quando pensiamo a noi stessi, spesso immaginiamo un “io” stabile e definito, una persona con caratteristiche precise che non cambiano mai. Ma è davvero così? Il Sé, cioè ciò che siamo, è qualcosa di fisso oppure cambia nel tempo?


In realtà, la scienza e la psicologia moderna dicono che il Sé non è un oggetto immutabile, ma un processo dinamico. Non c’è un “io” scolpito nella pietra, ma piuttosto un flusso continuo di pensieri, emozioni, ricordi e esperienze che si trasformano giorno dopo giorno.


Questa idea significa che non siamo legati per sempre a un’immagine di noi stessi, né a un modo di essere. Possiamo cambiare, crescere, imparare cose nuove, superare paure e scoprire lati di noi che prima ignoravamo. Il Sé è come un fiume: non è mai lo stesso, perché l’acqua scorre e si rinnova continuamente.


Questo non vuol dire che non abbiamo un’identità, ma che la nostra identità è flessibile e aperta al cambiamento. Capire questo ci aiuta ad accettare i momenti difficili, come la paura o il dolore, senza sentirci sopraffatti. Se il Sé fosse rigido, ogni problema rischierebbe di farci crollare, perché metterebbe in discussione “chi siamo”.


Al contrario, se vediamo il Sé come un processo che si adatta, possiamo affrontare le sfide con più coraggio e serenità. Possiamo osservare i nostri pensieri e sentimenti senza identificarci completamente con loro, imparando a vivere con consapevolezza e libertà.


In conclusione, il Sé non è una statua fissa da proteggere a tutti i costi, ma un fiume che scorre, in cui possiamo navigare e costruire la nostra strada, giorno dopo giorno.