In Italia e in molti altri paesi, esiste una fascia di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studia, non lavora e non è inserita in percorsi di formazione. Vengono chiamati NEET (Not in Education, Employment or Training). Spesso se ne parla con toni negativi, come se si trattasse di persone pigre o disinteressate al proprio futuro. Ma è davvero così semplice?
Dietro al fenomeno dei NEET si nasconde qualcosa di molto più complesso. In molti casi, questi ragazzi e ragazze non hanno perso la voglia di costruirsi un domani: semplicemente, non vedono la strada. Alcuni vivono in contesti familiari difficili, altri si trovano in zone d’Italia (o del mondo) dove mancano le opportunità, le infrastrutture e il lavoro. Altri ancora soffrono di disagi psicologici non riconosciuti, come ansia, depressione o senso di inadeguatezza, e si sentono sopraffatti da un mondo che chiede sempre di essere “vincenti”.
C'è anche chi si è chiuso in una visione nichilista, rifiutando un sistema che appare falso, corrotto, ingiusto. Alcuni giovani, infatti, non sono “assenti” perché non hanno idee, ma proprio perché le hanno: idee forti, spesso di rifiuto radicale, che li spingono a isolarsi o a rinunciare a cercare un posto nella società. Tuttavia, anche questa rabbia, anche questo rifiuto, sono segni di vita. Sono la prova che dietro il silenzio, dietro il vuoto apparente, esiste un’energia che può essere trasformata.
Un ragazzo che oggi è un NEET potrebbe diventare, con il giusto aiuto, un artista, un tecnico, un infermiere, un imprenditore o semplicemente un buon cittadino. È un capitale umano che la società non può permettersi di ignorare. Non solo per ragioni economiche, ma per una questione etica: ogni giovane che si perde è una sconfitta collettiva. Ogni potenzialità inespresso è una ferita al futuro.
Per questo, servono politiche coraggiose, capaci di ascoltare questi giovani, di intercettarli, di motivarli, di offrire loro occasioni reali. Serve più orientamento nelle scuole, più supporto psicologico, più investimenti nei territori svantaggiati, più educazione alla speranza. E serve anche un cambio di sguardo da parte degli adulti: meno giudizio, più comprensione.
I NEET non sono "falliti". Sono spesso giovani in attesa. In attesa di un senso, di una fiducia, di una chiamata. La società ha il dovere di rispondere. Perché in ognuno di loro, magari nascosta sotto il peso dell’apatia o del dolore, brilla una scintilla che può ancora accendersi.
Nessun commento:
Posta un commento