venerdì 14 giugno 2024

Hikikomori: il fenomeno del ritiro sociale

 

Il fenomeno del ritiro sociale, noto come hikikomori, ha origine in Giappone, ma negli ultimi anni si è diffuso anche in Italia, dove si stima ci siano almeno centomila casi in costante aumento. Il termine hikikomori significa letteralmente "stare in disparte" e descrive giovani, prevalentemente maschi (quasi il 90%), tra i 14 e i 25 anni che abbandonano progressivamente la scuola, le attività sociali e persino i rapporti con i familiari.


Chi sono gli Hikikomori?


Gli hikikomori sono ragazzi che si ritirano completamente dalla vita sociale, chiudendosi nelle proprie stanze e mantenendo un minimo contatto con il mondo esterno attraverso Internet e i videogiochi. Spesso vivono invertendo il ciclo giorno-notte e consumano i pasti da soli. Nonostante si potrebbe pensare che il loro isolamento sia dovuto a una dipendenza da Internet, gli esperti concordano nel ritenere che la rete non sia la causa del problema, ma piuttosto un mezzo attraverso il quale questi giovani continuano a interagire con i coetanei.


Cause del ritiro sociale


Le ipotesi iniziali sugli hikikomori includevano la dipendenza da Internet o una forma di depressione. Tuttavia, la maggior parte degli esperti ritiene che gli hikikomori non soffrano di patologie psichiatriche significative. Non si tratta neppure di una vera e propria fobia scolastica, poiché molti di questi ragazzi sono descritti come intelligenti, sensibili e bravi a scuola. Il loro ritiro sociale, dunque, non è necessariamente legato a episodi di bullismo o esclusione dal gruppo.


La cultura ipercompetitiva


In Giappone, il fenomeno degli hikikomori è collegato a una cultura ipercompetitiva che impone una fortissima pressione per conformarsi alle aspettative familiari e sociali di perfezionismo e successo. Anche in Italia, si possono riscontrare pressioni simili. I giovani italiani sono spesso schiacciati dall'obbligo di essere belli, performanti e di successo. Incapaci di sostenere queste aspettative, molti ragazzi si arrendono, trovando nel ritiro sociale una via di fuga da una vita che percepiscono come insopportabile.


Il disagio e le opportunità del ritiro sociale


Il ritiro sociale degli hikikomori esprime certamente un disagio, ma può anche rappresentare un'opportunità di riflessione sulla società in cui viviamo. Questi giovani rifiutano una vita scandita dal ciclo insoddisfacente produzione-consumo e manifestano una protesta contro un sistema che non rispetta i ritmi di apprendimento e l'unicità di ciascuno. La loro sofferenza e il loro isolamento sono, in un certo senso, una critica implicita a una società che li obbliga a piegarsi a standard irrealistici e a conformarsi a modelli di successo che sentono estranei.


La simpatia per gli Hikikomori


In fondo, gli hikikomori suscitano una certa simpatia. Al di là delle interpretazioni psicologiche, essi esprimono un malessere reale e legittimo. Essi rappresentano una protesta contro una società che spesso ignora le esigenze individuali e soffoca la creatività. Aiutare questi ragazzi a trovare modi più costruttivi per esprimere il loro disagio e a reintegrarsi nella società è fondamentale non solo per il loro benessere, ma anche per il progresso della società stessa.


Conclusione


In conclusione, il fenomeno degli hikikomori evidenzia problemi profondi legati alle pressioni sociali e culturali che molti giovani sentono insostenibili. È necessario un cambiamento che riconosca e rispetti l'unicità e i bisogni individuali, promuovendo una società più inclusiva e meno competitiva. Solo così potremo aiutare questi giovani a uscire dal loro isolamento e a trovare una strada verso una vita più soddisfacente e autentica.


Riferimenti bibliografici


- M. Crepaldi, *Hikikomori. I giovani che non escono di casa*, Roma, Alpes, 2019.

- M. Lancini (a cura di), Il ritiro sociale negli adolescenti, Milano, FrancoAngeli, 2019.

- G. Pietropolli Charmet, *L'insostenibile bisogno di ammirazione*, Roma-Bari, Laterza, 2018.

- C. Ricci, *Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione*, Milano, FrancoAngeli, 2016.

  

Sitografia


- [Hikikomori Italia](https://www.hikikomoriitalia.it/)

L'aborto: diritto o dilemma?

L’aborto è un tema complesso e controverso che ha suscitato dibattiti accesi nel corso degli anni. Nel 1978, sull’onda delle lotte sessantottine, venne approvata in Italia la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, frutto di anni di battaglie politiche progressiste. Fino ad allora, erano in vigore le norme del Codice Rocco, risalenti all’Italia fascista del 1930, che consideravano l’aborto un crimine contro l’integrità della stirpe.


Prima dell’approvazione della legge 194, gli aborti venivano eseguiti clandestinamente, spesso da mammane e praticoni, con gravi rischi per la salute delle donne, che potevano subire lesioni permanenti o addirittura morire. Gli aborti clandestini comportavano inoltre un notevole esborso di denaro per le donne, che si trovavano spesso in situazioni disperate e senza alcuna tutela sanitaria.


 Gli effetti della legge 194


Uno degli ostacoli principali all’adozione di una legge più permissiva sull’aborto era il timore che la pratica abortiva potesse diventare un comodo metodo di contraccezione. Tuttavia, i dati hanno dimostrato il contrario. Dal 1982, anno in cui si registrò il picco nazionale di casi, il numero di aborti ha conosciuto un costante calo, attestandosi sotto i 100.000 casi all’anno, uno dei tassi più bassi a livello europeo. Questo è stato possibile grazie a vari fattori: un più alto grado di istruzione, una maggiore diffusione dell’educazione sessuale, l’accessibilità ai metodi contraccettivi e l’introduzione di rimedi farmacologici come la pillola dei cinque giorni dopo e la RU486.


L'obiezione di coscienza


Purtroppo, l’efficacia della legge 194 è minata dall’obiezione di coscienza, particolarmente diffusa tra i medici ginecologi, anestesisti e altro personale sanitario, con punte che in alcune regioni raggiungono il 90% dei professionisti. Questo fenomeno getta un’ombra sinistra sul sistema sanitario italiano, poiché molte donne si trovano impossibilitate ad accedere all’interruzione di gravidanza in modo sicuro e gratuito.


L’obiezione di coscienza è spesso motivata da convenienze economiche e professionali, ma anche dal forte condizionamento della Chiesa Cattolica, ancora molto influente nel nostro Paese. Molti ginecologi, infatti, si dichiarano obiettori nel pubblico, ma praticano aborti nel privato o, peggio ancora, in ambulatori clandestini. Questo porta a una situazione di ingiustizia, dove le donne di classe sociale meno agiata sono le più penalizzate e a rischio.


L'aborto farmacologico


L’aborto farmacologico, che potrebbe restituire potere e indipendenza alle donne, è fortemente osteggiato in Italia. Anche molti farmacisti sono obiettori di coscienza, limitando ulteriormente l’accesso a questa procedura. Nonostante la legge 194 sembri promuovere la libertà di scelta, la realtà è che l’aborto è ancora visto come una punizione, associato alla sofferenza e all’espiazione piuttosto che all’autodeterminazione della donna.


 Problemi strutturali e sociali


A tutto ciò si aggiunge il fatto che la contraccezione è ancora largamente a pagamento e i consultori, spesso sottodimensionati e affidati a strutture private, seguono i dettami confessionali della Chiesa. La minoranza di operatori sanitari non obiettori è spesso ostracizzata dai colleghi e dalle stesse strutture in cui lavora. Inoltre, questi medici non ricevono alcun riconoscimento economico o d’immagine per il loro encomiabile senso civico.


La legge 194 e le forze conservatrici


Nonostante la legge 194 sia già piuttosto cauta riguardo ai diritti delle donne, è attualmente sotto attacco da parte delle forze anti-progressiste del Paese, che probabilmente ricevono finanziamenti da stati esteri. La battaglia contro l’aborto sembra far parte di una strategia reazionaria e integralista, volta a erodere i diritti civili conquistati negli ultimi anni, come il divorzio, l’uso dei contraccettivi e i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Queste forze conservatrici si schierano contro il potere delle femministe e a difesa della famiglia tradizionale.


Conclusione


In conclusione, abortire in Italia significa ancora oggi, per molte donne, affrontare una trafila burocratica estenuante e un processo di colpevolizzazione umiliante. È necessario un cambiamento culturale e strutturale per garantire che l’interruzione volontaria di gravidanza possa essere praticata in condizioni di sicurezza e senza discriminazioni. La battaglia per il diritto all’aborto è una battaglia per i diritti umani fondamentali, che deve essere condotta con determinazione e consapevolezza.


Riferimenti bibliografici


P. Maltese, *La scelta negata. Il diritto all'aborto nel paese dell'obiezione*, Catania, Villaggio Maori, 2022

Il denaro: strumento di potere e fonte di alienazione

 

Nella nostra epoca, soprattutto nella società occidentale, il denaro è diventato la misura di tutte le cose. Non rappresenta più soltanto un mezzo per scambiare beni e servizi, ma si è trasformato in un fine in sé. Possedere denaro significa avere potere, acquisire uno status sociale elevato e poter esibire uno stile di vita dispendioso, che ci eleva sopra la massa. Questa realtà porta alla sottomissione alle leggi e agli standard dell’economia e della finanza, influenzando profondamente la nostra esistenza.


Il denaro in tempi di crisi


La rilevanza del denaro si accentua in periodi di crisi economica, come quello che stiamo attraversando. Le persone e le famiglie tendono a nascondere il proprio impoverimento, provando vergogna per la propria situazione finanziaria. La società consumistica in cui viviamo ci induce a creare falsi bisogni attraverso i “persuasori occulti” come media e pubblicità. Per soddisfare questi bisogni, alimentati da desideri sempre nuovi, siamo costretti a disporre di ingenti somme di denaro, entrando in un circolo vizioso di lavoro, produzione e consumo parossistico, da cui pochi riescono a sottrarsi.


Il pensiero di Socrate e l'alienazione


Già Socrate, uno dei quattro grandi maestri dell'umanità, insieme a Buddha, Confucio e Gesù Cristo, aveva intravisto il pericolo di questo modo di vivere. Passeggiando per il mercato di Atene, osservando la merce esposta, disse: "Quante cose di cui posso fare a meno". Questo monito ci ricorda che la vera felicità non risiede nell'accumulo di beni materiali, ma nella capacità di discernere tra ciò che è veramente necessario e ciò che è superfluo.


 L'educazione al denaro


Il denaro, tuttavia, rimane importante. La scrittrice e poetessa statunitense Dorothy Parker osservava che la frase "si allega assegno" è una delle più dolci in tutte le lingue. È quindi essenziale educare i giovani, fin da piccoli, ad attribuire ai soldi il giusto valore. Devono imparare a utilizzare il denaro senza sprecarlo e senza contrarre debiti difficilmente ripagabili. L'educazione al vivere deve rivalutare il concetto di risparmio, opponendolo allo spreco. Risparmiare non riguarda solo il denaro, ma anche il saper dosare le proprie energie e il proprio tempo. Risparmiare diventa il metodo più efficace per liberarsi dalla dipendenza dal denaro.


Georg Simmel e la filosofia del denaro


Georg Simmel, nella sua opera "Filosofia del denaro", analizza il ruolo del denaro nelle relazioni sociali e personali. Simmel osserva come il denaro, da semplice strumento di scambio, si sia trasformato in un fattore che media tutte le relazioni umane. Questo processo di monetizzazione porta a una forma di alienazione, dove le relazioni autentiche sono sostituite da transazioni economiche. Il denaro diventa un simbolo di libertà, ma anche una catena che limita la nostra autenticità e spontaneità.


Thorstein Veblen e la Teoria della Classe Agiata


Thorstein Veblen, nella "Teoria della classe agiata", critica la società capitalistica per l'ostentazione della ricchezza e il consumo vistoso. Secondo Veblen, il denaro e il consumo di lusso diventano strumenti per mostrare il proprio status sociale, alimentando un ciclo di competizione e invidia. Questo comportamento, oltre a essere economicamente inefficiente, contribuisce alla disuguaglianza sociale e al degrado morale.


 Conclusione


In conclusione, finché il denaro rimane un mezzo, può contribuire al raggiungimento della felicità. Tuttavia, oltre una certa soglia, come dimostrano molte ricerche nelle scienze sociali e come suggeriscono i saggi di tutte le epoche, da Montaigne a Simmel e Veblen, più denaro può diventare un ostacolo al conseguimento della nostra gioia di vivere e della nostra serenità. La vera sfida è trovare un equilibrio, utilizzando il denaro come strumento senza permettergli di diventare il fine ultimo della nostra esistenza.


Riferimenti bibliografici


V. Andreoli, *Il denaro in testa*, Milano, Rizzoli, 2012  

M. de Montaigne, *Saggi*, Milano, Bompiani, 2014  

D. Parker, *Tanto vale vivere*, Milano, Astoria, 2021  

G. Simmel, *Filosofia del denaro*, Milano, Ledizioni, 2019  

T. Veblen, *Teoria della classe agiata*, Milano, Einaudi, 2012  

Le baby gang: un fenomeno sociale da affrontare

 

L’adolescenza, fase critica della crescita umana, può accompagnarsi a comportamenti devianti e criminali. Tra questi, spicca il fenomeno delle baby gang: gruppi di giovani o giovanissimi dediti a violenze che spaziano dal bullismo e vandalismo a furti e aggressioni sessuali. Preoccupante è il coinvolgimento persino di bambini e il fatto che tali fenomeni non siano più limitati alle periferie urbane degradate, ma coinvolgano ragazzi apparentemente integrati, provenienti da famiglie “perbene”. Questo problema sociale necessita di essere affrontato, prevenuto e possibilmente risolto.


 L'influenza del gruppo


La cultura occidentale pone un forte accento sull’individualismo, ma è innegabile che ogni individuo entra in relazione con gli altri, subendo influenze sia positive che negative. L’Io, in questa visione, appare sempre più come una costruzione sociale, frutto di una complessa interazione con l’ambiente esterno. Ne deriva che gli individui tendano ad aggregarsi in gruppi, dove l’individualità si dissolve nel Noi, guadagnando forza dagli altri componenti. Esempi di questi gruppi includono la famiglia, l’esercito, una squadra di calcio, un'orchestra, una classe scolastica. In questi contesti, l’individualità è spesso parzialmente persa.


Per gli adolescenti, il gruppo dei pari ha un'importanza cruciale. Tuttavia, quando all’interno del gruppo emerge un leader unico e dominante, il gruppo può trasformarsi in un branco. L’adolescente, in cerca di identità e autonomia, spesso si ribella alle regole familiari e sociali, affascinato dal potere e dal dominio, che possono portare a un disprezzo per la vita e persino all’omicidio.


I fattori di spinta: denaro e potere


Come evidenzia lo psichiatra Vittorino Andreoli, la condizione dell’adolescenza mette in conflitto il gruppo familiare-scolastico e quello dei pari. Nella società contemporanea, il denaro è divenuto la misura di tutte le cose. Gli adolescenti, sentendo acutamente la mancanza di denaro, possono rivolgersi a furti e altre attività illegali per procurarselo. Questa ricerca di denaro, spesso vissuta come un gioco, allenta i freni inibitori, portando i giovani a compiere azioni che non avrebbero mai osato individualmente.


Le violenze sessuali commesse dal branco non sono mosse dal piacere carnale, ma da un desiderio di dominio totale e violento sulla vittima. Nel caso del bullismo, si tratta di atti di sopraffazione verso i più deboli, che variano dalla derisione alla violenza fisica, esprimendo un tentativo illusorio di superare la propria fragilità interiore. Nel vandalismo, la distruzione di oggetti pubblici rappresenta un disprezzo verso la comunità, con l’obiettivo di superare l’emarginazione e le frustrazioni esistenziali, esprimendo rabbia e cercando un dominio sulle cose e sulle persone.


La risposta alla violenza


Alla violenza delle baby gang non si può rispondere con violenza istituzionale, ma con un’attenzione profonda alla questione giovanile. Occorre incoraggiare gli adolescenti a esprimere i propri desideri, conciliandoli con quelli degli altri, dando maggiore enfasi al Noi rispetto all’Io. Un progetto educativo, fondato sulle scienze umane, è la risposta efficace. L’educazione deve essere flessibile, adattandosi alle trasformazioni sociali e ai cambiamenti epocali.


Educare a vivere


Oggi, la scuola non deve solo combattere l'analfabetismo, ma insegnare a vivere. Deve educare il pensiero e l’affettività, integrando le tecnologie digitali nel processo di apprendimento. Sul piano affettivo, la scuola deve insegnare a resistere alle difficoltà, a vivere il dolore e la gioia, creando un ambiente accogliente dove ciascuno possa manifestare la propria personalità. Promuovere la lettura, stimolare il pensiero, l'immaginazione e la creatività è fondamentale.


Gli insegnanti devono sottoporsi a una formazione continua, diventando Maestri capaci di relazionarsi con la classe e rappresentare modelli da imitare. La famiglia, con relazioni guidate dall’amore, gioca un ruolo fondamentale nel processo educativo, offrendo esperienze di affetto, malattia e dolore, che favoriscono la maturazione cognitiva ed emotiva.


Conclusione


In conclusione, l’educazione deve richiamarsi all’umanesimo, riconoscendo le fragilità umane e promuovendo l’incontro e la cooperazione con l’altro. Anche nella nostra epoca, non si deve temere di avvicinare gli adolescenti ai concetti di sacro, mistero e trascendenza, per favorire una crescita equilibrata e armoniosa.


Riferimenti bibliografici


V. Andreoli, *Baby gang. Il volto drammatico dell'adolescenza*, Milano, Rizzoli, 2021.

giovedì 13 giugno 2024

Il giudizio degli altri: liberazione o prigione?


Nel *Libro dell’Es*, Georg Groddeck, psicoanalista eretico e precursore di molti concetti psicologici successivamente sviluppati da Sigmund Freud, racconta di come essersi affrancato dal timore del giudizio degli altri sia stata per lui un’autentica liberazione. Ossessionato, da ragazzo, da cosa la gente potesse pensare della sua condotta, viveva un’esistenza contratta e imbrigliata, in cui gli era impossibile essere se stesso. Quando si accorse che agli altri, presi dai propri problemi, importava assai poco dei suoi comportamenti, si sentì finalmente libero di esprimersi a proprio piacimento.


Arthur Schopenhauer, grande filosofo tedesco, riteneva che almeno la metà delle nostre ambasce derivasse dalla paura dell’opinione altrui. Una volta liberati da tale nefasto condizionamento, la qualità della nostra esistenza migliorerebbe significativamente. Le persone, infatti, tendono a ragionare per stereotipi, e preoccuparsi dell'opinione generale è come dar credito a vecchie comari di paese. Un vero uomo o una vera donna devono essere anticonformisti, adeguando i propri comportamenti e valori a ciò che detta la loro coscienza personale, come sostenuto da Ralph Waldo Emerson, uno dei maggiori scrittori e filosofi americani, amato da Nietzsche e Baudelaire.


Ciascuno di noi è una creatura unica che ha il diritto di esprimere totalmente la propria unicità. Come un fiore, qualunque esso sia, ha il diritto di sbocciare. Esistono teorie sociologiche che enfatizzano il ruolo della società nello sviluppo psicologico personale, sostenendo che la nostra identità, autostima e benessere dipendano dalle conferme ricevute dal mondo esterno. Tuttavia, queste teorie, sebbene abbiano un fondo di verità, non rappresentano l'intera realtà.


Il nucleo profondo della personalità


Essere rifiutati dall'ambiente in cui viviamo, disconfermati nella nostra essenza, o trattati con sprezzante indifferenza, ci ferisce e ci deprime. Tuttavia, esiste un nucleo profondo e intimo della nostra personalità che resiste alle critiche ingiuste, agli ostracismi, alle umiliazioni e alle disconferme che il mondo esterno ci riserva. Salvo situazioni estreme come torture, lager o sequestri, gli altri possono solo in parte scalfire questo nucleo profondo. La storia ci ha tramandato le gesta di personaggi che, in ogni epoca, sono stati in grado di tenere testa a una società che li avversava, realizzando totalmente la propria missione sulla Terra e migliorando l’esistenza di tutti, nonostante l'ambiente esterno fosse loro ostile.


Il valore delle critiche costruttive


Questo non significa ignorare del tutto le critiche che ci vengono mosse. Il feedback degli altri è prezioso nel processo di conoscenza di se stessi. Tuttavia, spesso tali critiche non sono mosse per aiutarci a migliorare, ma per ferire il nostro amor proprio, per invidia, ignoranza o mancanza di empatia. Il ritratto che gli altri rimandano di noi raramente corrisponde alla nostra vera e complessa essenza, ma piuttosto a una parodia, una caricatura negativa della nostra personalità, focalizzata solo sui nostri presunti limiti.


Liberarsi dal giudizio degli altri


Perciò, non prestiamo mai eccessiva attenzione al giudizio degli altri. Esaminiamolo con distacco, non curiamocene, ignoriamolo e consideriamolo come un vacuo soffio di vento che non intralcia il nostro cammino. Essere autentici significa vivere in accordo con il proprio sé interiore, senza essere schiavi delle opinioni altrui.


Conclusione

Liberarsi dal timore del giudizio altrui è un passo fondamentale verso la propria realizzazione personale. Seguendo l'esempio di pensatori come Groddeck, Schopenhauer ed Emerson, possiamo imparare a vivere autenticamente, valorizzando la nostra unicità e resistendo alle pressioni sociali. Questo non solo migliora la qualità della nostra vita, ma ci permette anche di esprimere appieno il nostro potenziale, contribuendo in modo significativo al benessere della società nel suo complesso.


Riferimenti Bibliografici


- R.W. Emerson, *Diventa chi sei: Fiducia in se stessi-Compensazione-Leggi spirituali*, Roma, Donzelli, 2005

- G. Groddeck, *Il libro dell'Es. Lettere di psicoanalisi a un'amica*, Milano, Adelphi, 1966

- I. Kishimi, F. Koga, *Il coraggio di non piacere. Liberati dal giudizio degli altri e trova l'autentica felicità*, Novara, De Agostini, 2019

- A. Schopenhauer, *L'arte di ignorare il giudizio degli altri*, Milano, Rizzoli, 2004

L'incertezza nella società moderna: minaccia o opportunità?

L'incertezza ha sempre caratterizzato la condizione umana, attraversando tutte le epoche storiche. Tuttavia, nella società tardomoderna, segnata da una crescente complessità e da cambiamenti rapidi e spesso imprevedibili, l'insicurezza e la precarietà sembrano essere più diffuse che mai. Questo fenomeno tocca ogni aspetto della vita: dall'istruzione al lavoro, dalla famiglia alle relazioni interpersonali. Per gestire il caos e sopportare l'ansia e la paura che l'incertezza genera, molte persone cercano rifugio nella tradizione, nelle ideologie, nelle abitudini e nelle idee ereditate dall'ambiente familiare. Ma cosa succederebbe se, invece di combattere l'incertezza, la considerassimo un'opportunità di crescita personale?


Antiche saggezze e filosofie moderne


Socrate, il filosofo greco, ci ha lasciato il celebre motto "Io so di non sapere". Questo principio mette in luce l'incertezza totale che caratterizza la conoscenza e l'esistenza umana, stimolando al contempo una ricerca infinita e mai conclusa della verità. Le filosofie orientali, in particolare il buddhismo zen, offrono anch'esse validi suggerimenti per un approccio positivo all'incertezza. Lo zen ci insegna l'impermanenza come una dimensione costante della vita, invitandoci a vivere nel presente senza attaccarci a ciò che è transitorio.


 Riscoprire se stessi


Per trasformare l'incertezza da possibile causa di sofferenza in strumento di autorealizzazione, è fondamentale cambiare il nostro sguardo sulla vita. Dobbiamo abbandonare vecchi schemi e condizionamenti, cercando di conoscere a fondo noi stessi. Questo processo implica la scoperta dei nostri desideri più autentici, delle nostre aspirazioni più profonde, dei talenti e delle vocazioni che ci rendono unici. Vivere in maniera autentica significa liberarsi dalle aspettative imposte da genitori e ambiente familiare, nonché da quelle che la società nutre nei nostri confronti.


 Il ruolo della razionalità e dell'intuizione


La logica cartesiana e il pensiero scientifico sono strumenti preziosi per risolvere i problemi esteriori, ma non possiamo ignorare che l'incertezza riguarda principalmente il nostro sentire interiore. La scienza stessa è in continua trasformazione e si basa sul dubbio sistematico, riconoscendo diversi gradi di certezza e sostituendo progressivamente la nozione di verità incontrovertibile con quella di probabilità. Tuttavia, i media e talvolta alcuni scienziati promuovono un'immagine falsata della scienza, celebrando lo scientismo come ultima frontiera della fede dogmatica.


L'importanza del silenzio e della riflessività


Per raggiungere la consapevolezza di noi stessi, è essenziale isolarsi da un mondo sempre più rumoroso e rivalutare il silenzio. Eliminare il chiacchiericcio costante prodotto dalla società dello spettacolo favorisce il silenzio interiore, un metodo sicuro per accedere alla ricerca del nostro Sé autentico. Solo attraverso questa introspezione possiamo trasformare l'incertezza in un'alleata e, talvolta, addirittura in una fonte di diletto.


 Accettare l'errore e coltivare la flessibilità


Per evitare che l'incertezza paralizzi le nostre azioni, dobbiamo fare delle scelte basate sui nostri valori e sulla nostra consapevolezza, accettando la possibilità di sbagliare. L'errore, tanto biasimato dalla cultura ufficiale e dal nostro sistema educativo, è in realtà un'opportunità preziosa di crescita personale. È essenziale liberarsi da aspettative rigide e dall'ossessione del risultato, adottando un atteggiamento flessibile e aperto alle nuove esperienze.


 Coltivare l'autoironia e l'empatia


Evitare di prendersi troppo sul serio e coltivare l'autoironia e l'umorismo ci aiuta ad affrontare l'incertezza con maggiore serenità. Un Ego eccessivamente ingombrante, sviluppato sotto la pressione di condizionamenti culturali, ci impedisce di muoverci liberamente nella vita quotidiana. Inoltre, la perseveranza, l'integrità, la gentilezza, l'affabilità, la compassione e la solidarietà sono qualità che ci permettono di perseguire la gioia, consapevoli che la felicità personale non dipende dal denaro e dal successo esteriore, ma dallo sviluppo delle nostre qualità interiori.


Conclusioni


L'incertezza, invece di essere vista come una minaccia, può diventare una straordinaria opportunità di crescita e autorealizzazione. Riconoscendo il valore delle antiche saggezze, abbandonando schemi e condizionamenti, e coltivando un atteggiamento flessibile e autoironico, possiamo affrontare la vita con maggiore serenità e autenticità. La consapevolezza di sé, alimentata dal silenzio interiore e dall'introspezione, ci permette di trasformare l'incertezza in una fonte di diletto e di crescita personale.


 Riferimenti Bibliografici


- Z. Bauman, *La società dell'incertezza*, Bologna, Il Mulino, 2014

- Platone, *Apologia di Socrate*, Bari-Roma, Laterza, 2019

- Maestro Tetsugen Serra, *L'incertezza è zen*, Brescia, ED-Enrico Damiani Editore, 2021

Il progresso nella società umana: realtà o mito?

Il concetto di progresso nella società umana è un argomento complesso e controverso. Da un lato, molti sostengono che il progresso sia evidente: la qualità della vita è migliorata sotto molti aspetti e numerosi parametri lo dimostrano. Steven Pinker, nel suo libro "Illuminismo adesso", evidenzia come, grazie ai progressi scientifici e tecnologici, viviamo in un'epoca con meno violenze, più salute e maggiori opportunità rispetto al passato. Tuttavia, l'idea che il progresso sia un percorso lineare e continuo è stata messa in discussione da molti intellettuali e pensatori critici, come Christopher Lasch e Jacques Bouveresse, che sottolineano gli aspetti negativi e i limiti di questa concezione.


Il progresso secondo Steven Pinker:

Pinker argomenta che, guardando ai dati statistici, la vita umana è migliorata su vari fronti: l'aspettativa di vita è aumentata, la povertà estrema è in diminuzione, l'accesso all'istruzione è più diffuso e le guerre su larga scala sono meno frequenti. Questo ottimismo si fonda sull'idea che l'Illuminismo, con la suo enfasi sulla ragione, la scienza e i diritti umani, abbia posto le basi per un progresso continuo e universale. Tuttavia, nonostante questi successi, molti individui continuano a vivere in condizioni di infelicità, insoddisfazione e discriminazione.


Le critiche di Christopher Lasch:

Christopher Lasch, nel suo libro "Il paradiso in terra. Il progresso e la sua critica", offre una visione diversa. Egli sostiene che il concetto di progresso, così come è stato concepito nella modernità, ha portato a conseguenze negative quali l'alienazione, la perdita di senso e la distruzione dell'ambiente. Secondo Lasch, il progresso tecnologico non ha risolto i problemi fondamentali dell'esistenza umana; al contrario, ha amplificato la capacità dell'uomo di distruggere e ha creato una società consumistica e individualista.


La visione di Jacques Bouveresse:

Nel suo libro "Il mito moderno del progresso", il filosofo francese Jacques Bouveresse critica l'idea di progresso moderno, sostenendo che essa sia spesso basata su illusioni e autoinganni. Bouveresse esplora le riflessioni di vari intellettuali che hanno messo in discussione il progresso lineare, sottolineando come molti degli avanzamenti tecnologici e scientifici non abbiano necessariamente portato a un miglioramento della condizione umana. Egli mette in luce le contraddizioni e le problematiche del progresso, evidenziando come spesso esso conduca a nuovi tipi di alienazione e insoddisfazione


Conclusioni: progresso o illusione?

Alla luce di queste considerazioni, emerge un quadro complesso. Da un lato, il progresso tecnologico e scientifico ha indubbiamente migliorato molti aspetti della vita umana. Dall'altro, la condizione umana sembra ancora largamente connotata da infelicità, insoddisfazione, guerre, stermini, persecuzioni, razzismi e discriminazioni. La critica al progresso ci invita a riflettere sul fatto che il miglioramento delle condizioni materiali non sempre si traduce in un miglioramento delle condizioni spirituali e morali dell'umanità.

Il progresso autentico, quindi, potrebbe non essere un percorso lineare e continuo come spesso si crede. Potrebbe invece richiedere una revisione critica dei nostri valori e delle nostre priorità, un'attenzione maggiore all'ambiente e alla qualità delle relazioni umane, e una consapevolezza più profonda delle nostre limitazioni e delle nostre responsabilità. In definitiva, il progresso potrebbe non essere un'idea esclusivamente occidentale, ma una sfida globale che richiede un impegno collettivo e una visione più olistica del benessere umano.