mercoledì 21 giugno 2023

L'ospedale, il malato e il dolore inutile

Nella società moderna, caratterizzata dall'invecchiamento della popolazione e dall'aumento delle malattie cronico-degenerative, la questione del dolore prolungato del malato ha assunto un'importanza sempre maggiore. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei casi di malattie come il cancro, che si protraggono per mesi o addirittura anni. Tuttavia, c'è stato un cambiamento significativo nella sensibilità del settore sanitario italiano e di altri Paesi avanzati nei confronti del dolore.

La concezione tradizionale del dolore, derivante dalla cultura cristiana che ha dato origine agli ospedali e all'assistenza sanitaria organizzata in Europa, lo considerava come una forma di espiazione delle colpe del malato e come un mezzo per purificarsi dai propri peccati, in vista della salvezza eterna. Questa visione, con connotazioni religiose e salvifiche, ha persistito fino ai giorni nostri. Anche l'architettura stessa degli ospedali, costruiti fino al secolo scorso, rifletteva questa ideologia della sofferenza, con ambienti tetri, privi di privacy e di comfort per i pazienti. Anche gli edifici più recenti, sebbene più moderni, hanno mantenuto un'atmosfera fredda e anonima, senza molte delle comodità di base.

Tuttavia, i progressi della medicina tecnologica e l'avvento di efficaci farmaci antidolorifici, insieme all'affermarsi di una visione laica della vita, hanno rivoluzionato l'approccio medico alla sofferenza fisica. Già nel 2001, l'ex ministro della Sanità e rinomato clinico Umberto Veronesi ha lanciato in Italia il progetto "ospedale senza dolore", seguendo l'esempio di altre iniziative promosse in Paesi all'avanguardia.

Da allora, il dolore è diventato un parametro misurabile, da documentare sulla cartella clinica del paziente e da monitorare quotidianamente, come la temperatura, la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca e la frequenza respiratoria. Farmaci antidolorifici come la morfina, che in passato erano considerati sospetti per i presunti rischi di tossicità e dipendenza, vengono oggi prescritti con maggior frequenza e facilità. I tabù ideologici e gli ostacoli burocratici che rendevano problematica la prescrizione e la somministrazione di questi farmaci sono ormai caduti.

Inoltre, l'atteggiamento di molti medici, infermieri e altri operatori sanitari nei confronti dei pazienti affetti da dolore è notevolmente cambiato. Oggi, un paziente che soffre per il dolore è considerato un segnale negativo e un indicatore di scarsa qualità dell'assistenza, per cui gli operatori devono intervenire. Mentre in passato la sofferenza veniva spesso ignorata, concentrandosi principalmente sulla lotta contro la malattia, oggi il malato che soffre, sia in ospedale che a domicilio, è visto come una situazione inaccettabile. Finalmente, la nostra cultura ha riconosciuto l'aspetto disumano della sofferenza.

Ogni ospedale moderno ha istituito un Centro per la Terapia del dolore, di solito guidato da un medico anestesista, dove i pazienti affluiscono in cerca di un sollievo efficace per le loro sofferenze croniche e intense. Sono stati creati anche servizi di cure palliative sul territorio e un nuovo protagonista si sta affermando nel panorama della medicina contemporanea: il medico palliativista. Il compito di questa figura è quello di seguire i pazienti affetti da gravi malattie croniche e di accompagnare, se necessario, la loro transizione verso una morte serena e priva di sofferenze.

La medicina palliativa, nata con il movimento degli hospice, pone al centro la persona malata nella sua totalità fisica, psichica, spirituale e sociale, anziché focalizzarsi esclusivamente sul danno agli organi come avviene nei reparti ospedalieri altamente specializzati. Il paziente non è più solo un numero o una malattia da valutare in modo asettico attraverso test di laboratorio e radiografie computerizzate, ma è un essere umano che merita assistenza premurosa e umana. Si sta affermando sempre di più una visione olistica della medicina, che, pur facendo uso delle risorse tecnologiche, pone grande importanza sulla qualità della relazione tra paziente e curanti, nonché con familiari e amici. Questa prospettiva umanizzante sembra contagiare positivamente anche altre aree e specializzazioni nel campo della medicina contemporanea.

Non mancano, tuttavia, ostacoli, resistenze e inerzie di fronte all'avanzamento di questa nuova, ma antica, concezione della medicina. Solo il futuro ci dirà se questa silenziosa e promettente rivoluzione sanitaria riuscirà a imporsi nell'interesse stesso della persona malata, del suo benessere e della sua dignità.

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