lunedì 9 agosto 2010

La corruzione politica e amministrativa

La corruzione sembra essere un problema cronico della società italiana. Già conosciuta e oggetto di pubblico dibattito presso i Romani, la corruzione non ha mai smesso di scandire il susseguirsi delle vicende storiche del nostro paese. Ricordiamo la vendita delle indulgenze ai tempi di papa Leone X, che generò, per ripulsa, la Riforma protestante, per passare poi, in anni più recenti, allo scandalo della Banca Romana, che travolse il governo Giolitti nel 1892-93 e di cui parla anche Pirandello nel romanzo I vecchi e i giovani , per arrivare, ai giorni nostri, allo scandalo delle tangenti, indicato dai giornali anche col nome di "inchiesta di Mani Pulite" o "Tangentopoli". Uno scandalo che, nei primi anni Novanta, ha coinvolto imprenditori e uomini politici e che ha decimato la classe dirigente della cosiddetta Prima Repubblica.
Quando si parla di corruzione si fa riferimento, in realtà, a due reati specifici: la corruzione propriamente detta, quando si offre denaro a un pubblico funzionario per riceverne dei vantaggi e la concussione, quando è il pubblico ufficiale a richiedere una ricompensa in cambio di favori da elargire.

Dopo Tangentopoli, la percezione di tanti è che in realtà la corruzione sia in Italia ancora molto diffusa. Perché, allora, nonostante le condanne talvolta severe e i tragici prezzi umani, pagati da alcuni inquisiti, la corruzione continua a prosperare nel nostro paese? Gli studiosi, sociologi, magistrati, economisti, ne hanno abbozzato, in questi anni, i motivi.

Molti hanno convenuto che l'Italia non sia ancora una democrazia forte e compiuta, con un mercato concorrenziale ben funzionante. Le procedure della pubblica amministrazione sono farraginose. Il modo di organizzare gli uffici eccessivamente burocratico e superato. Si lavora ancora sulla correttezza formale degli adempimenti e non sui risultati.

L'interpretazione di norme, leggi e regolamenti intricatissimi lascia ampia discrezionalità al singolo funzionario e crea gli spiragli favorevoli per l'infiltrarsi della corruzione.

Ci sono tuttavia anche dei motivi culturali. Lo Stato è spesso percepito, in vaste aree del paese, forse a causa dello storico susseguirsi di dominazioni straniere, come qualcosa di estraneo, di antagonista.
L'arricchimento è considerato dagli italiani come il principale segno di distinzione e di superiorità sociale. L'aristocrazia del denaro è l'unica gerarchia riconosciuta. I soldi facili costituiscono una tentazione cui, ai più, è difficile resistere. Anche il potere lo si acquisisce col denaro, più che con la competenza.

Il tornaconto personale, l'appartenenza a una famiglia, un clan, una corporazione professionale hanno sempre la meglio, nel Belpaese, sul rispetto per il bene comune e l'interesse collettivo. Uno studioso anglosassone ha stigmatizzato questa insufficienza etica degli italiani, definendola "familismo amorale" (Edward C. Banfield, Le basi morali di una società arretrata, ed Il Mulino)

Forse persino la nostra appartenenza alla religione cattolica, al contrario di quanto avviene nell'ambito della religione protestante o addirittura calvinista, ci abitua ad essere indulgenti verso le nostre debolezze e i nostri peccati, ci invita all'assoluzione invece che alla condanna e all'espiazione.

Valori di civismo molto diffusi in democrazie molto più mature della nostra, trovano da noi un'adesione soltanto formale, di facciata. La vita pubblica italiana scorre da sempre sul doppio binario morale dei vizi privati e delle pubbliche virtù, del predicare bene e razzolare male.

La corruzione, intanto, non soltanto crea ingiustizia, ma danneggia pesantemente anche la vita economica del paese. Quando i giochi sono truccati, a vincere sono i più furbi, non i più bravi.

Se l'azienda che vince un appalto pubblico, per esempio, costruisce opere malfatte, inutili, a costi altissimi, il danno che ne deriva alla collettività è immenso. "Ungere le ruote" diventa la prassi abituale se l'appartenenza a un clan fa premio sul merito; nelle scuole, negli uffici, negli ospedali, nelle aziende, nella vita economica in genere di un paese corrotto, vinceranno i mediocri, mentre i più competenti rischieranno di essere esclusi.

La corruzione si può battere, anzi, si deve battere, se si vogliono vincere le sfide della globalizzazione. Riformando la giustizia, rendendola più celere, riducendo il numero delle leggi, ma aumentando la loro efficacia, migliorando la trasparenza degli atti della pubblica amministrazione; sfoltendo, nello stesso tempo, il numero di funzionari, remunerandoli meglio e rendendo più efficiente il loro lavoro. Inoltre è necessario creare le condizioni per una maggiore collaborazione fra gli stati nel perseguire gli illeciti.

E, soprattutto, bisogna che gli italiani riacquistino i valori di responsabilità e di rispetto verso le regole, nella consapevolezza che l'interesse generale così conseguito, è, in ultima analisi, se soltanto si cerca di superare una visione miope della realtà, l'autentico, vero interesse di tutti noi, cittadini e consumatori.

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