lunedì 9 agosto 2010

Il terremoto in Abruzzo

Abbiamo partecipato tutti, tramite le notizie e le immagini trasmesse dai media, con Internet e i social network questa volta protagonisti a supportare stampa e tivù, alla catastrofe che si è abbattuta nel mese di aprile sull'Abruzzo. I morti, i feriti, i dispersi, gli sfollati, le urla di dolore, la sofferenza fisica e psicologica di vittime e sopravvissuti. Tante vite spezzate di uomini e donne, bambini, giovani, vecchi. Tanti progetti esistenziali interrotti dalla prepotenza di un disastro naturale, senza che nessuno di noi sappia fornire una giustificazione plausibile a tanto crudele scempio.
E la solidarietà dei soccorritori: vigili del fuoco, speleologi, militari, operatori sanitari, forze dell'ordine, volontari e semplici cittadini, tutti accomunati nella volontà di portare aiuto, a scavare a rischio della vita, tra il sangue, il fumo e le macerie, malgrado l'angoscia che una sciagura di tale portata induce nell'animo di tutti.

Un'angoscia che talvolta fa voltare la faccia, distogliere lo sguardo, malgrado le quotidiane rassicuranti spiegazioni scientifiche degli esperti, con i loro calcoli e i loro gradi Richter. Personalmente, ho provato l'impulso di spegnere il televisore, di negare l'esistenza di un'esperienza così traumatica, che ci obbliga a identificarci con le vittime e il loro dolore. Ho cercato di pensare ad altro per non dovermi misurare con domande cui so già di non saper rispondere.

Ho pensato che la Natura, che tanto ingenuo ecologismo vorrebbe soltanto benefica, sa essere leopardianamente matrigna, ingannatrice, indifferente alla nostra sorte, e a noi non resta altra possibile reazione, di fronte a tanta crudeltà, che essere solidali l'un l'altro.

Eppure anche un disastro naturale di enorme portata come un terremoto, passato il disorientamento traumatico dei primi giorni, fa sorgere dentro di noi il rabbioso sospetto che ad acuire il dramma di decine di migliaia di persone ci siano stati, a monte, dei comportamenti umani scorretti, dei profitti illeciti, delle scelte politiche sbagliate.

Perché per esempio nessuno ha ascoltato le previsioni di Giampaolo Giuliani, il sismologo del laboratorio scientifico del Gran Sasso che aveva denunciato con anticipo l'incremento di emissione di gas radon dagli strati profondi delle rocce? Perché case appena costruite, si immagina con tecnologie aggiornate, si sono sgretolate, mentre vecchi edifici hanno resistito alla furia delle scosse? Le norme antisismiche sono state rispettate dai costruttori, o aggirate con la complicità della burocrazia? Quante necessarie verifiche, quanti controlli sono stati omessi?

In Abruzzo non sono crollati soltanto edifici privati, ma anche la Casa dello Studente, gli ospedali, persino la prefettura, ganglio vitale della gestione dell'emergenza. Tutte strutture che avrebbero dovuto resistere a terremoti di intensità maggiore di quello che ha colpito L'Aquila e dintorni.
Che in Italia ci sia più della metà del territorio a rischio sismico è un fatto noto da anni. Però noi, al contrario di Giappone e California, paesi dove la terra trema di frequente, non sappiamo far tesoro delle dure lezioni del passato. Da noi, grazie a lentezze, inefficienze e sprechi, il cemento armato è sostituito dal cartongesso, le morti evitabili sono sempre troppe e i terremotati continuano a vivere nelle baracche decine di anni dopo il sisma.

Passato il drammatico impatto dei giorni immediatamente susseguenti il sisma, accompagnati dal sentimento di cordoglio per le vittime, il terremoto in Abruzzo ci offre oggi l'ennesima occasione per affrontare una fredda e cruda disamina della società italiana e della sua cultura. Come ci ha ricordato il giornalista e scrittore Giorgio Bocca, in un suo autorevole articolo su L'Espresso, in Italia dominano purtroppo ancora l'improvvisazione, il fatalismo, l'interesse particolare e la complicità col potente di turno. Malgrado l'apparente progresso tecnologico e l'incremento dei consumi, è tuttora una morale atavica e meschina, sedimentata in secoli di dominazioni straniere, quella che alberga nell'animo italiano. Una morale da poveracci: "tirare a campare e, se si può, rubarci sopra".

In molti, memori delle funeste esperienze del passato in casi simili, presagiamo già come andrà a finire: tante promesse, le responsabilità del disastro negate o insabbiate, i soldi della ricostruzione gestiti da mafie e conventicole varie, i costi gonfiati, i tempi dilatati. L'eterna Italia dell'assenza di senso civico e dei diritti negati del cittadino, la patria dei furbi che campano sul lavoro dei fessi.

Aveva ragione Massimo D'Azeglio: "Abbiamo fatto l'Italia, ora dobbiamo fare gli italiani".

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